San Valentino: storia minima del simbolo del cuore
14 Gen 2020 - Curiosità, Magazine
Probabilmente vi sarete accorti che il simbolo del cuore (♥) non assomiglia per niente al cuore, inteso come organo. Cioè, ci vorrebbe una grande fantasia per rintracciare nelle due globosità superiori del simbolo una restituzione grafica di atrii, ventricoli e roba così. E quindi?
Cinquemila anni d’amore.
Da dove proviene questo pittogramma che, oggi, fa parte di una sorta di alfabeto grafico universalmente riconosciuto? Da un geroglifico, pare. O meglio, da un geroglifico utilizzato per indicare il concetto di “cuore” la cui forma (probabilmente) è ispirata a quella del seme di una pianta oggi estinta: il Silfio.
Un tesoro di pianta.
Questo Silfio, che possiamo immaginare simile a un finocchio gigante, era una risorsa preziosa per gli Egizi e, successivamente, anche per i Greci. La pianta nasceva sulle coste dell’attuale Libia ed era commerciata in tutto il mediterraneo. Sappiamo che si usava in medicina, in cucina, ma soprattutto – e qui rientriamo in tema – che era utilizzata come contraccettivo. Immaginate lo sconforto delle popolazioni mediterranee quando la pianta si è estinta.
Il perché di un colore.
Se è vero che la forma del simbolo non c’entra con la forma dell’organo, non si può dire lo stesso del colore. Il cuore umano è inequivocabilmente rosso, come insegna ogni manuale di anatomia (o la visione di Indiana Jones e il tempio maledetto). Ok diamo pure credito alla storia della geroglifico/pianta di Silfio, ma, almeno per il colore, deriverà da quello?
No. Anche per quanto concerne il colore, l’organo non centra. Il simbolo del cuore non è rosso per – diciamo – similitudine. In questo caso, il colore ha una funzione simbolico/culturale: comunica passione, gioia, energia, vitalità. Ah, sì, il rosso comunica queste cose anche perché, fisiologicamente, aumenta la frequenza e la pressione cardiaca, la respirazione e il metabolismo: tutto torna, insomma.
Da glifo a logo.
Il successo di questo segno era sicuramente già scritto, ma si può dire che ci sia stato un preciso momento, nella storia recente, in cui la diffusione del simbolo a forma di cuore abbia avuto un’accelerazione – come dire? – planetaria. Più o meno una quarantina di anni fa, infatti, succedeva che Milton Glaser, grafico e illustratore newyorkese, inventasse il brand I♥NY per promuovere il turismo nello Stato di New York.
Da quel momento – da quelle prime T-shirt – sono nati centinaia di brand e migliaia (milioni?) di declinazioni spontanee nella cultura pop. Da quel momento, e forse per sempre, quello non è solo il simbolo dell’Amore: è direttamente l’Amore.
Un cuore digitale.
Gli egiziani lo dipingevano sui papiri, i greci lo stampavano sulle monete, gli statunitensi su magliette e gadget. Oggi, invece, ognuno di noi, volendo, può produrre centinaia di cuori al minuto, solo con il proprio pollice opponibile. Parliamo degli emoji, quei geroglifici contemporanei che, secondo molti, costituiscono un vero e proprio alfabeto parallelo.
Su emojipedia, se si digita “heart”, si hanno 20 risultati: cuori classici, cuori pulsanti, cuori impacchettati, gatti con occhi a forma di cuore. Insomma, l’essenza di internet.
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